GitErrando tra Antichi ricordi Natalizi...

Cari Giterranti

Dicembre è arrivato e il Natale incalza e io, come ogni anno, sono presa dalla frenesia del periodo festivo ma anche da una vena malinconica, perché oramai non riesco più a scorgere la dimensione fanciullesca del Natale.

Sarà che sono diventata adulta, ma questo periodo lo vivo più come una forzatura

consumistica che come un momento di intenso calore spirituale, e mi trovo sempre di più a pensare a come vivevo e sentivo il Natale da piccola, a quella magia che si creava e si manteneva intatta per giorni e giorni, a quei sapori, odori e piccoli gesti che mi davano la sicurezza che stava arrivando un periodo davvero speciale: Il periodo Natalizio.
A scuola da fine ottobre iniziava il conto alla rovescia, ma avevo la certezza che mancasse meno di un mese al Natale quando mia mamma metteva sul giradischi, a

ripetizione, il disco “Natale in Europa” con flauto di pan, organo e violoncello.

Questa colonna sonora ci accompagnava per giorni e giorni, fino a quando non dovevamo partire per andare da mia nonna. Ecco, il Natale iniziava proprio in quel momento, da quando quasi all’alba, insonnoliti e infreddoliti io e mio fratello ci vestivamo per salire sulla nostra fiammante Fiat 127 rossa, aspettavamo che nostro padre caricasse il bagagliaio di valige e regali e stringendoci i cappotti attorno al corpo sorridevamo felici, sapendo che a breve ci saremo fermati al forno di nostra zia Partenope che ci avrebbe riempito di focacce di tutti i tipi: schiaccia bianca all’olio, schiaccia con gli scriccioli (ciccioli, frizzoli, chiamateli come volete), schiaccia con le olive e schiaccia dolce con zucchero e uvetta, una vera delizia per il palato.

Il viaggio iniziava riempiendoci la bocca di quelle scrocchianti leccornie, io in particolare,

amavo la schiaccia con gli scriccioli; se chiudo gli occhi mi sembra di sentire ancora  quel sapore inconfondibile di strutto, sale e pepe, quella leggerezza nell’impasto, quell’odore fragrante che mi invadeva le narici ad ogni morso e quella deliziosa e calda friabilità che solo le sapienti mani di zio Pasqualino e zia Partenope sapevano creare. 
Dopo la colazione cantavamo a squarciagola le canzoni natalizie e anche le hit del momento, fino a quando mio padre, esasperato, inseriva una musicassetta nello stereo ( di solito quella dell’ultimo festival di Sanremo) e io e mio fratello ci giravamo con la faccia verso il lunotto posteriore salutando ogni camion che sorpassavamo.
Al tempo non esistevano seggiolini per bambini, cinture di sicurezza e cose varie, così potevamo saltare e giocare liberamente nel duro divano posteriore dell’auto e inventarci mille giochi.
A metà mattina ci fermavamo all’autogrill sull’autostrada per Roma, sempre il solito, a fare pipì e a sgranchirsi un pò le gambe e poi ripartivamo, arrivando a Roma verso le 11,30 dove ci aspettava la sorella di nostro padre per il primo pranzo pre-natalizio e il primo scambio di regali.
Verso le 16.00 rimontavamo in macchina per dirigerci nel ridente paesino di mia nonna: l’Anitrella.


Il viaggio era ancora più bello, i colori caldi del tramonto coloravano il cielo mentre io e mio fratello iniziavamo a contare gli alberi di Natale illuminati a bordo strada.

Ci inoltravamo nel  buio della sera  per le strade di campagna prive di lampioni che portavano da mia nonna, e spesso il silenzio era interrotto solo dal rumore del motore della nostra auto; sembrava quasi di viaggiare in una dimensione irreale, ovattata, quieta.

Quando i fari della nostra auto illuminavano una specifica nicchia della Madonna posta all’incrocio di tre strade, avevamo la certezza di essere quasi arrivati; giravamo quindi a destra per via Colle della Mola e dopo pochi minuti parcheggiavamo davanti casa di mia nonna, in campagna, nel colle che sovrasta il paese.

Scendere di macchina e respirare a pieni polmoni quell’aria frizzantina al sapore di quercia bagnata e muschio, unito a quello di legna bruciata, ci connetteva subito a un presente fatto di cose semplici e genuine. Alzavamo gli occhi al cielo e poi verso le scale, sicuri di scorgere la sagoma di mio nonno che ci veniva incontro con una torcia in mano.

Sapevamo che aveva passato l’ultima ora seduto sul muretto, al freddo, aspettandoci. Non esistevano i cellulari e spesso i genitori aspettavano con pazienza i figli arrivare, soprattutto se la strada era lunga e il traffico intenso.

L’entrata a casa dei miei nonni era degna di una famiglia reale, in quella semplice ma capiente

cucina trovavamo tutti i parenti ad aspettarci: gli zii, le zie, i rispettivi padrini e madrine, cugine e cugini e parenti vari e ovviamente mia nonna, che tutta sorridente e con il grembiule sporco di farina e sugo ci veniva ad abbracciare.
Nel camino scoppiettava il fuoco. Sapevamo che quello era l’unica fonte di calore perché a casa di mia nonna non c’erano i riscaldamenti, ma la cucina era calda, l’accoglienza pure e noi tutti felici ci abbracciavamo gli uni con gli altri gridando continuamente”Buon Natale!”

La tavola era lunga e imbandita di ogni prelibatezza, sul fuoco del camino c’era un calderone di rame pieno di olio dove mia nonna friggeva un impasto di farina uova e verdure da mangiare calde, dal soffitto scendevano file di salsicce messe a seccare, nel forno a legna cuoceva il pesce e le patate per la cena della vigilia e dentro le teglie erano già composte le lasagne, che sarebbero state cotte la mattina dopo per il pranzo Natalizio.

Sul frigo svettava il piccolo albero di Natale, addobbato con  palle natalizie ma anche con mandarini e figure di Babbo Natale di cioccolato avvolte in carte stagnole coloratissime e
luccicanti. Sotto l’albero mia nonna metteva sempre le figurine della bella olandesina, trovate


se non mi ricordo male, nel detersivo Mira Lanza; alle pareti, sulle piastrelle color verde chiaro, c’erano delle figurine di animali: un gallo, un asino, un cane, una scimmia, della frutta ecc e io e mio fratello, guardandole, ci divertivamo ad inventare storie; altro che cartoni animati!

La cena era allegra, confusionaria, esplosiva, ridanciana, i nostri piatti venivano riempiti con montagne di spaghettini all’uovo fatti in casa, di una consistenza e un sapore ineguagliabili, colline di patate al forno e tranci di pesce rimpiazzavano immediatamente il piatto di pasta a stento finito, ma ovviamente, non potevamo esimerci dal mangiare tutto, così piano piano, anche le patate e il pesce sparivano e non contenti ci abbuffavamo di sasamelli al miele e cantucci.


Finita la cena e sparecchiata la tavola, venivano distribuite le cartelle della tombola insieme al mais che serviva per coprire le caselle dei numeri usciti, e mentre tutti giocavamo, mia nonna e mia mamma lavavano montagne di piatti e pentole, perché al tempo non esisteva certo la lavastoviglie.

Verso le 23.30 mia nonna e mia mamma si preparavano per andare a Messa, e ogni volta, nonostante il sonno e la stanchezza, volevo andare anche io.

Amavo scendere al paese dalla stradina di pietra che partiva da casa di mia nonna e arrivava dopo circa dieci minuti di camminata ai confini dell’ Anitrella. Il buio ci avvolgeva e mia nonna faceva strada illuminando il cammino con una torcia, il freddo mi pizzicava sulla faccia ma l’arrivo in paese era impagabile, venivamo accolte da un luccichio intermittente di mille luci


Natalizie posizionate in ogni dove.

In chiesa c’era tutto il paese, stavamo così vicini che il tepore dei corpi, l’odore di incenso e la litania del prete mi faceva quasi assopire, combattevo con quella forza inspiegabile che mi premeva sulle palpebre affinché chiudessi gli occhi e una dolce e infida voce mi sussurrava di abbandonarmi all’abbraccio di Morfeo, ma sapevo che se mi fossi lasciata andare il ritorno a casa sarebbe stato una tortura.


Così cercavo di cantare anche io, in quella sconosciuta lingua che più tardi ho capito essere il latino, l’immancabile Adeste Fideles, confondendo il venite Adoremus (venite adoriamo) con Venite a Doremus ( venite a Doremus )  pensando che Doremus fosse un luogo particolare dell’antica Palestina.

Finita la cerimonia, passavamo almeno altri venti minuti a baciare e a fare gli auguri a tutto il paese, prete compreso, per poi riprendere la via di casa questa volta in salita.

Il freddo era davvero pungente, i miei respiri si condensavano in nuvolette bianche, i polmoni  


bruciavano come se fossero infilzati da mille spilli ad ogni boccata d’aria.

Non avevo più fiato per parlare, sentivo la pelle delle guance tirare e bruciare e le mani, anche se avvolte nei guanti, le sentivo fredde e gonfie.

La stradina passava dentro una boscaglia buia, dai rami si intravedeva la volta celeste piena di stelle così grandi e luminose che sembrava poterle prendere solo allungando una mano, ma non mi scorderò mai quella notte che, durante il ritorno a casa iniziò a nevicare.


La sorpresa e la gioia che mi invase in quel momento è indelebile nella mia memoria, i freddi fiocchi cadevano e aumentavano d’intensità mentre io, mia mamma e mia nonna procedevamo in salita, tutte e tre con un sorriso di meraviglia stampato in faccia.

Arrivate a casa ci mettevamo davanti al camino per scaldarci un pò e poi io correvo su per le scale, mi mettevo il pigiama il più velocemente possibile e mi infilavo nel letto ghiacciato, schiacciata da chili di coperte ( il piumone doveva ancor comparire in Italia) mentre riparavo la testa sotto il cuscino per non sentire gli spifferi di vento che passavano dalle imposte di legno un pò imbarcate delle finestre, e mi addormentavo felice, sapendo che il giorno dopo avrei trovato qualche regalo sotto l’albero e soprattutto avrei avuto l’autorizzazione a mangiare ininterrottamente torroni, cioccolate, cantucci, panettoni e tutto quello che di buono quel giorno di festa poteva offrire.

No, non sono nata a fine ‘800, questo che ho descritto è un classico Natale di fine anni settanta 


in un piccolo paesino in provincia di Frosinone.

Pensate forse che mia nonna fosse povera? Credetemi, al tempo quasi tutte le case erano senza riscaldamento, almeno le case di campagna.

Ecco, dopo aver passato Natali così, come posso ora ritrovarmi in questa festa priva di qualsiasi sentimento, con sapori e odori industrialmente standardizzati e la corsa a fare il regalo più bello per sentirsi, se non più buoni, almeno più fighi?

Ho un figlio, e anche se cerco in ogni modo di rendergli questa festa più magica possibile, mi rendo conto che nulla può sostituire quell’odore  particolare dell’aria, quella camminata nel freddo, quei sapori genuini delle cose di una volta, ma non demordo, sono sicura che molti di


noi stanno uscendo da un’illusione consumistica durata anni, e presto questi odori, questi sapori e questi momenti magici e particolari saranno rivissuti da tutti noi.

Intanto io non ho mai smesso di credere a Babbo Natale, e voi?



Informazioni

L’Anitrella è una piccola frazione del comune di Monte San Giovanni Campano in provincia di Frosinone.

Piccolo borgo sul fiume Liri è stata la residenza dei Conti Lucernari.


ʟα ɢıтεяяαптε










Commenti

  1. La Magia è nel cuore un Dono prezioso che ci connette al Divino, i bimbi Sanno, e Mattia la vedrà, la sentirà e la gusterà. I nostri sensi materiali sono tristi, ma se guardi un presepe e poi chiudi gli occhi, sei lì nella Bellezza sempre nuova di sempre, dove inizia l'eternità, la gioia, e il profumo dell'Amore

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