Racconti Giterranti : L’incontro

Cari Giterranti

Di solito in questo periodo si sentono discorsi sulla speranza, sull’essere più buoni, più umili, più caritatevoli, mentre si spendono centinaia di euro in lucine, addobbi inutili, cibi pieni di grassi e zuccheri che ci faranno sicuramente ingrassare e metteranno a repentaglio la nostra salute, regali senza senso che saranno messi come premi spazzatura alla tombola della risulta e, forse, donando dieci euro a qualche casa famiglia o associazione no-profit non perché ci importi particolarmente di quelle persone ma solo per “spirito natalizio.”
Ecco, in questa corsa consumistica e priva di emozione che è diventato il Natale, volevo regalarvi un racconto per farvi riflettere su quanto in realtà siamo scollegati gli uni agli altri, perché se veramente ci unissimo, se fossimo davvero una comunità, non esisterebbe la solitudine, che poi è alla base di tantissimi problemi.
Buona lettura.


L’Incontro 
 
Oramai aveva deciso, quella sarebbe stata la sua ultima notte su questa terra.
Prima di uscire dette un’occhiata in giro: la casa era linda e pinta, sul letto aveva preparato un vestito blu con ancora il cartellino del prezzo attaccato e la ventiquattrore, con tutti i suoi risparmi prelevati il giorno prima, era sul tavolo insieme alla lettera con le sue ultime volontà.


Con passo deciso scese per strada e si avviò verso il centro città, mancavano circa tre ore al passaggio del Frecciarossa delle 6.05.

Guardò il cielo, «sto arrivando amore mio» disse a voce alta.I passi rimbombavano nel silenzio notturno; sapeva che dopo aver attraversato il ponte avrebbe visto le luci del fioraio di via Melegnano; era aperto a tutte le ore, ogni giorno, in ogni situazione metereologica.



Appena svoltato l’angolo si sentì strattonare all’indietro e qualcosa di freddo e affilato gli premette la giugulare:«fermo!Non gridare o sei morto. Sbrigati! Dammi il portafoglio. Svelto!».
Riccardo alzò le mani e iniziò a ridere, «morto? Davvero? Tu mi uccideresti?»
«Smettila di ridere faccio sul serio! Dammi il portafoglio o ti sgozzo come un capretto» disse la voce.
«Perfetto uccidimi allora, ma prima fammi comprare una rosa rossa dal fioraio, non vorrei andare da lei a mani vuote, non se lo merita».

«Ma che cazzo stai farneticando? non ti muovere, altrimenti la rosa te la ficco su per il culo prima di tagliarti la gola. Dammi il portafoglio ho detto».
Riccardo sentì una mano che lo tastava ovunque.
«Senti non so chi tu sia, ma io mi chiamo Riccardo e troverai solo cinque euro nella tasca interna della giacca, quindi o mi ammazzi subito o te ne vai capito?».
«Ma che cazzo dici amico? non è così che deve andare! Tu dovresti avere paura, e mi dovresti dare il portafoglio mentre mi preghi di non farti del male! Lo sapevo che quello stronzo del sorcio mi aveva raccontato un sacco di stronzate!»la voce era delusa.
Riccardo sentì diminuire la pressione della lama.«Vai amico sei libero, non sono un assassino».
Riccardo si girò e si trovò faccia a faccia con un ragazzino di circa sedici anni, alto e robusto ma con il viso sporco e l’alito fetido.«Che cazzo guardi? Vattene stronzo».
Riccardo lesse negli occhi del ragazzo la sua stessa disperazione; poteva essere suo figlio, quel figlio che avevano sempre desiderato e che non era mai arrivato.
«Aspetta un attimo, ho qualcosa da darti» disse Riccardo mentre si sfilava l’orologio e la catenina lanciandole verso il ragazzo che le prese al volo.
«Dimmi come ti chiami, e ti svelerò un posto dove potrai trovare tanti soldi».

«Sei fuori di zucca amico, ma che ti dice il cervello? Io ti lascio andare e tu mi dai il tuo orologio e


la catenina? E se ti dico come mi chiamo trovo un tesoro! Ma chi cazzo sei Babbo Natale?»
«Ok fai come ti pare! Comunque questa chiave apre il portone a via del leone 15, questa invece è la chiave dell’ interno 6, sul tavolo troverai una ventiquattrore. Prendila, quei soldi sono tuoi, buona serata».
Riccardo riprese a camminare verso il fioraio, aver regalato i soldi a quel ragazzo lo faceva sentire meglio, come se la sua vita dopo anni avesse nuovamente un senso.
Sentì dei passi dietro di se: «ehi amico, mi chiamo Diego» disse il ragazzo tendendo la mano, «scusami se ho tentato di rapinarti, ma sai la disperazione ti fa fare cose assurde. Era la prima volta per me, insomma scusami io non sono così ma a volte… si insomma hai capito quello che voglio dire no?»
Riccardo sorrise. Non poteva crederci, quel ragazzo si chiamava Diego, proprio uno dei nomi che Lucia aveva scelto per un loro ipotetico figlio.
«Diego, non preoccuparti capisco più di quanto pensi, comunque adesso va a quell’indirizzo, prendi quella valigetta e cambia la tua vita, sei giovane, fra poco avrai un bel gruzzoletto in tasca, non buttarti via, se fossi tuo padre ti consiglierei di darti una ripulita, finire la scuola e trovarti un lavoro degno di questo nome».

Diego sorrise tristemente: «se tu fossi mio padre ti sputtaneresti tutti i soldi tra alcool e puttane per poi tornare a casa e massacrare di botte me e mia madre. Mia mamma non ce l’ha fatta ma io si, e stai tranquillo fratello non ho nessuna intenzione di finire come mio padre».


«Benissimo ne sono felice, ma ora scusami ho un treno da prendere e una rosa da comprare. Va a quell’indirizzo e se ti va restaci a vivere, se qualcuno ti chiede spiegazioni rispondi che sono stato io a darti il permesso, ok? Buona serata».
Riccardo acquistò la rosa e si diresse verso la stazione dei treni. Giunto al binario due lo percorse fino in fondo e poi continuò a camminare nella notte, seguendo le rotaie, allontanandosi sempre di più dalla città.
Trovò un posto perfetto dove aspettare il suo treno.
«Lucia, amore finalmente ti rivedrò!» Disse mettendosi al centro del binario.
Appena vide i fari avvicinarsi sorrise, allargò le braccia e chiuse gli occhi, poi una botta fortissima allo stomaco lo fece cadere di schiena, il colpo gli tolse il fiato, strinse i denti aspettando di essere dilaniato dalle ruote del treno, il rumore era assordante ma a parte il dolore alla schiena e un peso sopra lo stomaco non sentiva alcun dolore.
Stordito aprì gli occhi e si trovò nuovamente faccia a faccia con il ragazzo.

«se fossi tuo figlio non vorrei vedere mio padre suicidarsi» disse Diego rialzandosi, e porgendo la mano a Riccardo. «Oggi il treno è passato, se vuoi puoi riprovarci domani, ma per adesso che ne dici se ti offro una bella colazione paparino?»





Piccola riflessione: quante persone facoltose e sole potrebbero “adottare” ragazzi come Diego? Quanta solitudine in meno ci sarebbe? Quanto amore tornerebbe a circolare? 
Lascio questa riflessione e questo racconto a GitErrare nell’universo, chissà forse qualcuno prenderà spunto.

Informazioni

Il racconto è inserito nel libro “ Un libro ti cambia la vita e altri racconti” lo puoi trovare su Amazon sia in cartaceo che in formato elettronico.

ʟα ɢıтεяяαптε









Commenti

  1. Bello...fa riflette tanto, e forse cambiare un po,il modo da guardare la vita...
    COMPLIMENTI.

    RispondiElimina

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