Racconti GitErranti: (per la festa della mamma) “Vittoria”

Cari Giterranti 

Domenica è la festa della mamma e tutti i social saranno invasi da cuoricini, poesie, pensieri sdolcinati e dichiarazioni di amore verso quella persona che ci ha portato in grembo per nove mesi, la mamma.
Ed è giusto così perché essere mamme non è sempre una gioia continua, non siamo sempre
Quadro dell’artista Anna Rita Nicoletti Lippi

pazienti, amorevoli, dolci e comprensive, la mamma è una persona che al giorno d’oggi ha più di un problema da gestire, così qualche anno fa decisi di scrivere un racconto che racchiudesse uno stralcio di vita da mamma.
Spero che questo racconto vi faccia divertire ma vi faccia anche riflettere, così da farvi festeggiare vostra madre non solo Domenica, ma tutti i giorni della vostra vita.
Buona lettura...e W la Mamma!!!

Vittoria

«Amore di mamma svegliati. Amore, piccolo tesoro apri gli occhietti.» dissi prendendolo in braccio e portandolo sul divano.
Lo coccolai per qualche minuto e poi iniziai piano piano a togliergli il pigiama.
«Mamma... Io non voglio vestirmi sono stanco!» pignucolò stropicciandosi gli occhi.
«Sei stanco? Sono dieci ore che dormi e poi oggi è il primo giorno di scuola materna, hai quattro anni tesoro, chissà quante cose belle vi faranno fare quest’anno.»
«Non voglio andare all’asilo mamma, voglio rimanere con te a farti compagnia.»
Lo abbracciai forte e poi lo baciai sulle guance con due schiocchi sonori.
«Amore te l’ho spiegato ieri, mamma deve andare via due giorni per lavoro, quindi tu vai

all’asilo, giochi, ti diverti, poi arriva papà di ritorno dalla Calabria e ti viene a prendere. Dai infila le manine qui.» dissi continuando a vestirlo.
«Io non voglio stare con papà, voglio stare con te.» rispose sicuro mentre gli infilavo le scarpe.
Guardai l’ora.
Erano le 7.30, avevo giusto il tempo di portare Mattia a scuola e raggiungere il luogo di incontro con gli altri sindacalisti per andare al Congresso Nazionale.
«Vorrei sapere chi è il genio che ha deciso di fare il Congresso lo stesso giorno di apertura delle scuole!» pensai mentre mettevo il giacchetto a mio figlio.
Lasciai Mattia in soggiorno ed entrai in camera a prendere lo zaino. 
Prima di chiuderlo controllai se avevo preso il necessario per due giorni fuori casa.
«Perfetto, c’è tutto.»
Mi misi lo zaino in spalla e tornai in soggiorno, dove avevo lasciato Mattia pronto a uscire.
Ciò che vidi mi fece salire il sangue al cervello.
Mio figlio era ancora seduto sul divano ma solo con le mutande e la canottiera.
I panni erano sparsi per terra in un groviglio informe.
Aveva braccia e gambe incrociate e la testa reclinata in avanti con un espressione imbronciatissima.
«Cazzo Mattia che ti è passato in mente?» dissi raccogliendo nervosamente i panni da terra.
«Non si dicono le parolacce mamma» rispose con voce stizzita.
«Infatti, non si dicono le parolacce ma tu me le levi di bocca, mi spieghi perché ti sei spogliato?» ringhiai mentre cercavo di infilargli nuovamente la maglietta.
Mattia inizio a divincolarsi e a urlare: «non la voglio quella maglietta mammaaa! Non mi piace.»
Chiusi gli occhi e ingollai l’acido che mi iniziava a salire in gola, sapevo che usare la forza ed entrare in scontro con mio figlio sarebbe stato controproducente.
«E allora dimmi quale caz… cavolo di maglietta vuoi metterti.» chiesi con voce trattenuta.
«Voglio quella di Spider man, quella rossa e blu.»
Mi portai le mani al viso passandomele poi sui capelli: «amore lo sai, quella di Spider man è sporca, te la sei messa ieri e l’hai impataccata di gelato. Scegline un'altra e fai in fretta che siamo in ritardo.»
I suoi occhi diventarono due fessure che mi guardavano di traverso: «io voglio quella di Spider mannnnn.» piagnucolò chiudendosi ancora di più su se stesso.
Io ero combattuta, una parte di me voleva ficcargli i panni di forza anche se sapevo che avrebbe strillato come un capretto al macello e mi avrebbe riempito di calci, l’altra cercava di usare la ragione e le tecniche che nel tempo avevo imparato per stemperare i capricci.
Solo che il tempo stava scorrendo troppo in fretta e io ero già in ritardo.
Riempii i polmoni e trattenni il respiro, poi buttai fuori l’aria tutta assieme, il mio modo per attenuare il nervosismo.
Mi sedetti accanto a lui sul divano e lo abbracciai.
«Tesoro» dissi dolcemente, «ti prometto che quando torno da Perugia andiamo in giro a cercare un’altra maglietta di Spider man, ma ora che ne dici se ti metti quella verde e bianca?»
Mattia si strinse a me, poi alzò il viso e mi guardò con due occhioni teneri teneri.
«Mamma,» disse con una vocina rotta dal pianto, «non mi piace quella verde e bianca.»Allargando ancora di più gli occhi.
«Ficcati quella cazzo di maglietta e andiamo» avrei voluto urlare, invece presi mio figlio in braccio e lo portai in camera e aprendo i cassetti del comò pieni dei suoi panni esclamai con tono deciso: «ecco scegli. Ce ne sarà una che ti piace.»
Vidi mio figlio avvicinarsi, prendere due magliette, guardarle con aria di sufficienza e ributtarle dentro al cassetto.
Cercavo in ogni modo di trattenere la rabbia, ma la pazienza era al limite.
Lui mi scrutava con la coda dell’occhio, poi prese altre due magliette, le guardò con aria disgustata ma prima che avesse il tempo di buttarle nuovamente nel cassetto gli fermai le mani.
«Conto fino a tre, se a tre non hai deciso che maglia metterti, te ne ficco una di forza. Poi puoi strillare quanto ti pare ma ti prendo e ti porto all’asilo e festa finita. Chiaro?»

«Mamma ma io all’asilo non ci voglio andare.» Piagnucolò di nuovo.
«Uno,» alzando il pollice destro davanti alla sua faccia.
«Mamma ti prego.»
«Due,» alzando l’indice per formare il numero in questione.
Mio figlio non si mosse ma strinse i pugni e serrò le mascelle, sapeva che avrei fatto ciò che dicevo.
«EEEE….» prima che dicessi tre lo vidi scattare in avanti, prendere una maglietta a caso dal cassetto e mettendomela davanti al viso esclamò: «questa mamma voglio questa.»
Lo vestii in fretta, gioendo dentro di me per come avevo gestito la crisi ma iniziando ad entrare in paranoia perché ero in ritardo.
Presi le chiavi della macchina, mi misi nuovamente lo zaino in spalla e spinsi mio figlio nel corridoio.
«Mamma ma non facciamo colazione?»
Che mamma snaturata che ero, stavo portando a scuola mio figlio senza nutrirlo.
Ero in ritardo e non potevo permettermi di perdere altro tempo prezioso, quindi con un tono dolce e calmo e sentendomi un bel po' in colpa risposi:«no amore questa mattina andiamo di fretta, mamma ti da una merendina e la mangi in machina ok?»
Presi una crostatina al cioccolato dalla dispensa, la scartai e gliela misi in mano.
«Pronto? Dai la manina alla mamma e andiamo.»
Anche se era imbronciato, Mattia allungò la mano prendendo la mia mentre chiudevo la porta alle nostre spalle.
Scendendo le scale guardai l’orologio, erano le otto.
«Perfetto, ce la posso ancora fare.» pensai aprendo il garage.
Avevo appena posato Mattia sul seggiolino e chiuso tutte le varie fibbie di sicurezza, quando lo

vidi divincolarsi: «mamma mi scappa la cacca.»
Un ondata di acido mi salì fino alla gola.
«Cosa? Ma perché ogni volta che vado di fretta ti scappa sempre la cacca benedetto figlio? Non ce la fai a reggerla cinque minuti?» dissi con voce irritata.
«Mamma mi scappa forte.» rispose mio figlio agitando le gambe.
«Mamma me la faccio addosso mammaaa.» piagnucolò.
Stizzita lo presi in braccio, richiusi la macchina e salii le scale di corsa.
Quasi lo lanciai davanti alla porta di casa per poter cercare le chiavi nello zaino.
«Eppure le avevo messe in questa tasca laterale, perché non ci sono?» Pensai, mentre l’ansia stava prendendo il sopravvento.
Mattia iniziò a saltellare: «mamma sbrigati, non ce la faccio più.»
Finalmente le trovai e aprii la porta.
Vidi Mattia correre come un pazzo verso il bagno, lo seguii.
Lo trovai seduto sulla tazza.
«Mamma mi sono sporcato le mutande.» disse con la sua vocina squillante che arrivò al mio cervello come una stilettata.
Socchiusi un attimo gli occhi, il nervosismo stava aumentando esponenzialmente, poi sospirai, andai a prendere una mutanda pulita e lo cambiai nervosamente mentre stava ancora seduto sulla tazza.
«Sbrigati amore hai finito?» dissi guardando l’orologio. 
«Si ho finito» rispose, «ma non voglio andare all’asilo mamma, non mi ci mandare ti prego.» Non risposi, lo lavai e lo rivestii velocemente, poi lo presi in braccio e uscimmo di casa.
Appena lo legai al seggiolino Mattia iniziò a piangere.
«Mamma, io voglio stare con te. Non ci voglio andare all’asilo mamma, ti prego.» grossi lacrimoni scendevano dai suoi occhi.
«Mamma, ti voglio bene è per questo che voglio stare solo con te» continuò piangendo.
Il mio istinto di mamma sapeva che erano capricci, ma il mio cuore si sciolse a quelle parole e avrei voluto abbracciarlo fortissimo, riportarlo in casa e rimanere tutto il giorno a coccolarlo.
Ma purtroppo non era possibile.
«Amore dolce non piangere, mamma non può portarti con se, però quando torno ti porto un bel regalino va bene?» gli asciugai le lacrime, lo baciai in fronte e a malincuore salii al posto del guidatore.
Mi sentivo una madre orrenda, ma non potevo fare altrimenti.
Appena misi in moto mi squillò il telefono.
«Cazzo proprio ora?» guardai il display, era il mio segretario generale che mi stava chiamando.
«Pronto capo, buongiorno» dissi cercando di sembrare tranquilla, nonostante il pianto di mio figlio in sottofondo.

«Sonia dove sei? dovevamo incontraci qui alle otto e un quarto ricordi? Il Pullman è già qui.Ma chi è che piange il tuo bimbo?»
«No io!» avrei voluto rispondere.
Guardai l’ora sul cruscotto della macchina, le otto e venti. 
Sbuffai. 
«Capo, porto mio figlio all’asilo e arrivo, abbiate pazienza, mio marito non c’è e questa mattina va tutto storto.»
«Ok ti aspettiamo ma sbrigati.» chiusi la conversazione e mi girai un attimo a guardare mio figlio, aveva gli occhi rossi e un espressione da piccolo pulcino indifeso.
«Mamma? Quanto sei bella tu.» disse con una vocina dolce dolce. «Sei così bella che ti amerò per tutta la vita.»
Ecco ora si che mi sentivo una vera merda.
«Grazie amore di mamma, anche io ti amo e ti amerò per tutta la vita.»
Parcheggiai nel piazzale davanti l’asilo, scesi velocemente dalla macchina, slegai mio figlio dal seggiolino e lo presi in braccio.
Sentii che si stringeva fortissimo al mio collo.
Entrammo.
Mi misi a sedere su una panca con lui ben ancorato al mio collo e con il viso sprofondato tra i

miei capelli.
«Mammina mia, non ci voglio stare qui, voglio venire con te, ti prego mamma.» continuò a ripetermi più volte con una vocina rotta dalle lacrime.
«Ma tesoro, oggi verrà a prenderti papà, questa sera mangerete tanta pizza e anche tanti pop corn. Guarderete insieme almeno due dvd di cartoni. Vedrai vi divertirete amore mio, e prima che te ne accorga mamma sarà già tornata.» gli dissi mentre lo cullavo cercando di tranquillizzarlo.
«Mattia ben arrivato! I tuoi amici ti stanno aspettando.» La maestra Donatella era venuta ad accoglierci.
Si avvicinò, si accovacciò vicino a noi e fece una carezza sulla guancia di Mattia.
«Tesoro, Stella e Francesco sono dentro e hanno tanta voglia di giocare con te, vuoi venire con me?» disse stendendo le braccia.
Mattia girò la testa dall’altra parte.
«Mammina, tu sei la migliore, ti voglio tanto bene, voglio stare sempre con te.»
Continuando a piagnucolare.
Ero combattuta, da una parte l’ansia e il nervosismo stavano mettendo alla prova la mia pazienza, dall’altra mi sentivo squagliare da cotanta dichiarazione d’amore da parte di mio figlio che si rifiutava categoricamente di staccarsi dal mio collo.
Squillò nuovamente il telefono.
«Sonia dove sei?»
«A fanculo» avrei voluto rispondere.
«Sono all’asilo capo, non ti preoccupare cercherò di fare il prima possibile. Ti chiamo appena sto arrivando ok?»
«Sbrigati.»
Sbuffai e chiusi la conversazione, poi guardai implorante la maestra, che prese Mattia da dietro cercando di toglierlo delicatamente dal mio collo.
In tutta risposta mio figlio si aggrappò ancora più forte e scoppiò a piangere singhiozzando forte.
Non sapevo che fare non si era mai comportato così, in più il pensiero che 54 persone stavano aspettando me mi mandava al manicomio.
Mattia piangeva, la maestra mi guardava senza parlare e io mi sentivo persa, non sapevo come risolvere questa assurda situazione.
«Perché piangi?» disse una vocina dolce da dietro le spalle di Mattia.

Spostai la testa di lato e vidi una bellissima bambina, con un cesto di capelli castani lunghi e ricci e due occhioni neri meravigliosi.
«Ciao» le dissi, «come ti chiami?»
«Vittoria.» Rispose sorridendo.
Mio figlio smise di piangere e girò leggermente la testa per guardare la bambina.
«E tu come ti chiami?» disse avvicinandosi a noi in modo da vedere una parte del viso di mio figlio, che lo alzò leggermente per guardarla.
«Mattia.» rispose con voce tremolante.
«Ciao Mattia io sono Vittoria» disse sorridendo e mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro con fare civettuolo.
Sentii che mio figlio allentava la stretta intorno al mio collo, scostandosi un po’.
Iniziò a tirare sul col naso e a pulirsi gli occhi con la manica della maglia.
«Wow che bella maglietta, cosa è quello un T.Rex? Io amo i T.Rex.» disse la bambina con entusiasmo.
Mattia si tirò indietro afferrando la maglietta al bordo e stendendola bene per farla vedere alla bambina.
«Wow brava Vittoria, continua così.» pensai piena di speranza.
Vittoria si avvicinò ancora di più sfiorando con un dito la mano di mio figlio.
«Vuoi vedere una cosa bella Mattia?»
Mattia fece di si con la testa, mentre Vittoria scattò di corsa dentro la stanza dei giochi.
Tornò in un attimo tenendo le mani dietro la schiena.
Nel frattempo mio figlio si era girato, rimanendo seduto sulle mie ginocchia ma dandomi la schiena.
La maestra era appoggiata allo stipite della porta, sorridendo osservava la scena.
Vittoria inclinò la testa di lato elegantemente.
I Riccioli le scivolarono da una parte, socchiuse leggermente gli occhi e sorridendo si avvicinò a Mattia.
«Lei è Sybil» disse mostrando a mio figlio ciò che aveva dietro la schiena.
«Wow un serpente!» esclamò Mattia ammirato.
«io adoro i serpenti.» disse Vittoria.
A me sembrò che quella frase fosse stata sapientemente modulata, quasi sussurrata.
Mentre iniziava ad accarezzare dolcemente la testa del peluches si avvicinò ancora di più a noi, poi con occhio languido e movimenti lenti e seducenti, posò il serpente sulle ginocchia di mio figlio, sfiorandogli nuovamente una mano.
Mattia rimase per qualche momento in contemplazione del serpente, Vittoria stava vicinissima a
noi, con le mani dietro la schiena, la testa inclinata e un espressione furbetta stampata in faccia.
Io ero letteralmente spiazzata, non potevo credere che una bambina di quattro anni conoscesse già così perfettamente le tecniche seduttive.
Poi mio figlio con un balzo scese dalle mie ginocchia, non ci potevo credere, sorrideva.
Rese il serpente a Vittoria che socchiuse gli occhi e si sistemò una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio sinistro prima di prendere in mano Sybil.
Notai che aveva iniziato a muovere leggermente la testa a destra e a sinistra, così da far ondeggiare dolcemente i suoi lunghi capelli.
«Vieni? Andiamo a giocare assieme?» disse prendendo per mano Mattia che la stava guardando con occhi ammirati.
Prima di scomparire nella stanza dei giochi, lei si girò verso di me scoccandomi uno sguardo a dir poco vittorioso, mio figlio invece si allontanò senza darmi un bacio, salutarmi o  semplicemente sorridermi.
Non si girò nemmeno a guardarmi. 
«Ma come?» pensai, «prima mi dice che vuole stare sempre con me, capricci a non finire per non andare all’asilo e poi basta una piccola smorfiosa che se lo porta via come se nulla fosse.»
Ci rimasi malissimo. Possibile fossi gelosa?
La maestra si accorse del mio stato d’animo: «signora vada, la stanno aspettando. Mattia si divertirà e starà tranquillo non si preoccupi.»
Feci di si con la testa, ma in cuor mio sarei voluta entrare in quella stanza, prenderlo in braccio e riportarlo a casa, non glie la volevo dare vinta a quella piccola seduttrice di poveri bambini indifesi.
Invece mi alzai in preda a sentimenti di gelosia, mi sentivo stupida ma non riuscivo a controllarla. 
Raccolsi lo zaino e andai verso la porta, la maestra la aprì dicendo: «I maschi sono maschi, certe cose sono innate, ci si abitui.»
«Anche il potere che hanno le donne sugli uomini è innato e cazzo quanto è potente.» Pensai innervosita dal mio stesso pensiero.
Passando davanti alla vetrata della stanza dei giochi, vidi mio figlio pendere letteralmente dalle labbra di Vittoria.
Sospirai: «questa è la vita, mi ci devo abituare.» Pensai, lanciando un ultimo sguardo al mio piccolo cuccioletto, anche questo è essere mamma!»



Ecco, spero di avervi dato un piccolo spaccato di vita di una mamma di oggi, lascio questo racconto GitErrare nel web sperando che arrivi a chi deve arrivare e che porti i suoi frutti.


Buona giornata e Viva la mamma sempre e comunque!





ʟα ɢıтεяяαптε






































































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